Più del 90% del nostro cibo deriva dall'azione di questi insetti. Il meteo pazzo e la mano dell'uomo mettono a rischio la loro vita
Le api hanno iniziato a svolazzare nei centri delle città per cercare nutrimento nei fiori che spuntano dalle finestre e dai balconi delle abitazioni. È una istantanea che lascia pensare, quella scattata da Sara Ruschioni, professore associato in entomologia, presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Università Politecnica delle Marche.
Nella Giornata mondiale delle Api, che si celebra il 20 maggio, data di nascita dell’apicoltore sloveno Anton Janša, pioniere dell’apicoltura, la docente e ricercatrice sottolinea l’importanza dell’impollinatore nel mantenimento della biodiversità.
La stagione anomala dal punto di vista climatico e meteorologico, con temperature più rigide di un paio di gradi rispetto agli anni scorsi, ha causato nelle piante una produzione esigua di nettare, prodotto che le api trasformano in miele per nutrirsene, le quali di conseguenza sono affamate. «Nelle Marche quest’anno si raccoglierà poco miele – spiega Sara Ruschioni -, una tendenza che si sta ripetendo con una certa frequenza negli ultimi anni, ma a differenza del passato quest’anno l’assenza di scorte negli alveari è davvero preoccupante».
L’entomologa spiega che ci sono alberi, come ad esempio acacie, più povere di nettare a causa della siccità e del freddo, ma «non mi sento di dare solo la colpa al cambiamento climatico, dipende anche dal comportamento dell’uomo – afferma -. Stiamo riducendo sempre di più le siepi, ovvero le aree non coltivate e dunque lasciate libere di crescere, le quali rappresentano un’importante fonte di sostentamento per le api. In questo modo però non facciamo altro che depauperare il territorio, togliendo il cibo agli impollinatori».
La docente sottolinea che negli apiari, anche nelle Marche, si sono verificati casi di avvelenamento da pesticidi, sostanze impiegate in agricoltura per combattere le piante e gli insetti infestanti, eppure la regione è «tra le più virtuose in Italia» in base a quanto emerge dal monitoraggio nazionale sullo stato di salute delle api, condotto dalla ricercatrice.
«La natura ci viene incontro – spiega -, ma non possiamo crogiolarci su questo, ognuno di noi può fare qualcosa per salvaguardare questi preziosi insetti». La docente sottolinea che gli impollinatori «hanno fame e stanno cercando cibo ovunque, anche nei terrazzi delle città». A tal proposito rivolge un appello ai marchigiani: «È importante non trattare le piante, perché si andrebbe ad inquinare le fonti di nutrimento per le api. Sono impollinatori fondamentali perché più del 90% del nostro cibo deriva dall’azione di questi insetti».
Frutta, verdura e anche la stessa carne, sono legate all’azione degli impollinatori, i bovini mangiano piante che si sviluppano grazie alle api. «Dovremmo ringraziare le api perché viviamo grazie a loro – afferma -, danno vita agli alberi che purificano l’aria e ci danno ossigeno. Tutto ruota intorno alle api che sono fondamentali nel mantenimento della biodiversità».
Solo in Italia ci sono 2.000 specie di apoidei selvatici, che volano anche quando le api non possono volare (pioggia, vento, freddo, alta montagna) come il bombo. L’Università Politecnica si sta preparando ad avviare uno studio sull’ape “ligustica”, un’ape da miele a rischio estinzione nella sua razza pura, perché «alcuni apicoltori hanno introdotto sottospecie non autoctone, causando però un danno ecologico mettendo a rischio la sua purezza genetica, legata al territorio da secoli» spiega. Un’ibridazione che darà origine ad api poco adattate che, non essendo in grado di adeguarsi alle necessità del territorio, potrebbero incorrere in un processo di stress che metterebbe a rischio la biodiversità.
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